lunedì 27 febbraio 2012

COME I GRASSI SI RAPPORTANO ALLA NOSTRA SALUTE: LE MALATTIE CARDIOVASCOLARI



Le principali malattie cardiovascolare sono l’aterosclerosi e le coronopatie.
La loro patogenesi è fortemente influenzata dai diversi tipi di grassi che abbiamo nel sangue e che, in maniera scientifica, indichiamo come lipidi plasmatici.

Questa classe di lipidi annoverano i famosi trigliceridi o le lipoproteine ad alta e bassa intensità (LDLD e HDL), i quali differiscono tra di loro per la composizione in proteine, lipidi e colesterolo.
Le più pericolose sono le LDL in quanto sono lipoproteine capaci di filtrare gli strati più interni delle arterie e, se modificate, possono iniziare il processo aterosclerotico.

Questo processo inizia con i macrofagi, cellule del sistema immunitario adibite quindi a difesa del nostro organismo, che catturano le LDL dando origine a cellule schiumose originando la placca ateromatosa.
Le HDL funzionano al contrario: rimuovono il colesterolo dai tessuti e ritardano la cattura delle LDL.

I trigliceridi non sono presenti nelle lesioni aterosclerotiche ma influiscono, attraverso altri meccanismi, la patogenesi delle malattie cardiovascolari.
L’altro fattore importante nell’aterosclerosi riguarda la composizione degli acidi grassi e il loro grado di insaturazione.

Gli acidi grassi saturi hanno la capacità di aumentare il livello plasmatico del colesterolo e, nello specifico, questo aumento è maggiore della capacità degli acidi grassi insaturi di diminuire lo stesso colesterolo.
Gli acidi grassi monoinsaturi sono da considerarsi neutri nei riguardi del colesterolo, se paragonati ai carboidrati.

I carboidrati, nello specifico, se introdotti con la dieta in maniera cospicua potrebbero far aumentare l’escrezione epatica di trialgliceroli arrichendo così le lipoproteine.
Gli acidi grassi insaturi nelle conformazione biochimica trans, ottenuti da alcuni processi industriali, si comportano come i saturi.

Gli acidi grassi polinsaturi hanno un doppio comportamento.
La famiglia della serie n-6 è in grado di far abbassare la colesterolemia mentre quelli della serie n-3 sono capaci di diminuire i livelli plasmatici dei trigliceridi.

Esiste un parametro chiamato indice di aterogenecità degli alimenti capace di classificare il cibo in base alla influenza negativa che esercita sull’aterosclerosi.
Indice di aterogenecità = (1.01 x g ac. grassi saturi) + (0.05 x mg colesterolo) 

Nella valutazione di un alimento non dovrà essere preso in considerazione solo il contenuto di colesterolo ma anche la quantità di acidi grassi saturi.
Un esempio veloce è quello dei crostacei, alimenti ricchi di colesterolo rispetto i grassi animali ma poveri di acidi grassi saturi quindi poco aterogeni.

Ecco un tabella per darvi un’idea per un rapido confronto.

Alimento (100 gr)
Colesterolo (mg)
Grassi saturi (gr)
Indice di aterogenecità
Carne di pollo
67
3
6,4
Carni rosse (20% grasso)
65
10
13,5
Formaggi grassi
90
15-25
25
Crostacei
100
0,2
5,2
Pesce
50-100
0,5-1,2
4,6

In realtà andrebbe precisato che l’indice di aterogenicità degli alimenti alcuni limiti.
Il calcolo di questo parametro risulta tanto veloce quando non necessariamente preciso.

Altro limite è il non considerare il diverso carattere degli acidi grassi saturi: il potere aterogeno è, infatti, minimo per l'acido stearico e per quelli a catena più corta, e massima per l'acido miristico e per quello palmitico. 

Gli alcuni acidi grassi monoinsaturi (vedi l'oleico) e polinsaturi (vedi omega tre ed omega sei) hanno, dal canto loro, capacità di diminuire i lipidi plasmatici ( altro fattore limitante).
In generale non si valuta il contenuto calorico e l'indice glicemico degli alimenti, fattori che stimolano la sintesi lipidica: esempio importanti sono lo zucchero da tavola e l'alcol etilico, i quali - pur avendo un indice ateregonecità quasi nullo sono iperlipidemizzanti. 

È più chiaro ora perché vanno limitati i cibi grassi?

CAFFEINA E ATTIVITA' FISICA


Dove risiede l’apprezzata capacità del caffè di stimolare il sistema nervoso?
In un suo composto chiamato caffeina.

La caffeina appartiene al gruppo delle metilxantine, sostanze liposolubili che si trovano naturalmente nel caffè, nelle fogli di thè, nel cioccolato, nei semi di cacao o artificialmente aggiunta in diverse bevande.
Il suo assorbimento avviene a livello intestinale con una relativa rapidità, raggiunge il suo picco nel giro di un’ora e agisce, in generale, sul sistema cardiovascolare, nervoso e muscolare.

I metodi più diffusi per l’assunzione della caffeina  sono attraverso il caffè espresso e moka in Italia mentre negli USA e nei paesi nordici si seguono i metodi boiled e filtrazione.

A seconda della diversa tipologia di preparazione la contenuto di caffeina espresso per porzione varia tra i 75 mg e i 160 mg.

Metodo di preparazione
Volume della porzione (ml)
Caffeina (mg/porzione)
Espresso
20-35
78-91
Moka
40-50
77-124
Boiled
150-190
87-158
Filtrazione
100-190
80-145

Quasi tutte le ricerche concordano sul medesimo punto: l’assunzione di caffeina prima di una prestazione sportiva non è in grado di migliorare la potenza espressa dall’atleta.

D’altra parte, però, diversi studi hanno dimostrato che l’assunzione di 350 mg (all’incirca 3 caffè espressi al bar)  di caffeina 60 minuti prima di una competizione o di un allenamento sarebbero in grado di aumentare uno sforzo di media intensità.

Sembra che questa capacità sia legata al ruolo antifatica; dal punto di vista biochimico la caffeina favorisce l’ossidazione degli acidi grassi, risparmiando quindi i carboidrati rendendoli disponibili per un fase successiva alla sforzo piuttosto che in una fase immediata.

Come agisce la caffeina?

L’azione della caffeina avviene principalmente attraverso la liberazione di catecolamine.
La molecola della caffeina si lega ad alcuni recettori delle membrane cellulari, influisce un processo di regolazione dei nervi mediante scarica del potenziale post sinaptico.

Si ha come risultato un aumento dei livelli di adrenalina e noradrenalina, le nostre già citate catecolamine !!!
In questo modo viene stimolato indirettamente il sistema nervoso simpatico e assistiamo ad un aumento del battito cardiaco, dell'afflusso di sangue ai muscoli ed al rilascio di glucosio del fegato. 

Il risultato netto è il seguente :
·       una forte ossidazione delle scorte di grasso ( ATTENZIONE: non è che bevendo 150 tazzine di caffè al giorno vi scolpirete l’addome, piuttosto vi ricoverano d’urgenza)
·       risparmio delle scorte di glicogeno ( il primo substrato energetico che usiamo durante l’attività fisica)

Quindi mi sembra molto semplice:  prima di una sessione di nuoto, di una calcetto tra amici o di una lezione di ballo un bel caffè !

giovedì 26 gennaio 2012

IL CIBO COME DROGA

Si può essere davvero dipendenti dal cibo?
Ci sono meccanismi di base in comune, all’interno del nostro cervello,  che evocano risposte simili quando assumiamo cibo (o meglio, il cibo che a noi piace di più) o droga?

Sembra proprio di si.
Il cibo e le sostanze da abuso vanno ad attivare gli stessi meccanismi del piacere e della ricompensa provocando una serie di risposte condizionate.

Perche si parla di risposte condizionate?
In psicologia il condizionamento è un preciso processo per cui uno stimolo determina un’azione riflessa .

Il cibo ci attrae, è spesso all’interno di discussioni quasi sempre piacevoli quindi produce piacere.
Quando proviamo questo genere di sensazione, il nostro cervello impara ad associarla con le “condizioni” che la preannunciano.
Quando poi questo genere di ciclo del piacere si ripete e diventa più affidabile, quel ricordo si rinforza.

Ecco, quindi, il condizionamento.
Il meccanismo di condizionamento delle droghe è più forte in quanto ognuna di queste è dotata di proprietà chimiche specifiche diverse da quelle del cibo.

Il cibo o il sesso, seppure siano forti produttori di piacere, necessitano di tempi più lunghi per attivare la via di piacere e ricompensa.
Una volta creato un ricordo condizionato la risposta diventa un riflesso: su questa tipo di meccanismo si fondano tossicodipendenza e fame compulsiva.

Perche i cibi con molte calorie sono quelli più appetibili e quindi con maggiori probabilità di creare una fame compulsiva?

Quando  vivevamo di caccia la ricerca del cibo non era sempre una garanzia di successo per cui gli alimenti più ricchi di energia erano quelli più vantaggiosi per la sopravvivenza.
I nostri geni da allora non sono più cambiati quindi gli alimenti più calorici scatenano ora come allora questi meccanismi.

Cosa succede nel nostro cervello?

Aumentano i livelli di un neurotrasmettitore, la dopamina: questa sostanza serve a dirci cosa è importante, dandoci preziose informazioni sugli stimoli esterni inattesi e nuovi.
La regione celebrale coinvolta nei meccanismi di ricompensa e motivazione è lo striato: qui è possibile notare un aumento dei livelli di dopamina ogni volta che si è stato presentato, un cibo cui siamo stati condizionati.
Una volta condizionati mangiare, annusare o guadare il cibo scatenerà qui meccanismi, qui sopra indicati, che sono gli stessi stimolati dalle droghe.

Il ruolo della dopamina, una volta che i suoi livelli superano un determinato livello, è semplice: realizzare un obiettivo.
Ora possiamo capire la ragione scientifica dell’ inconscia espressione : “ guarda come è magro, ha una gran volontà, io non ci riesco”.
Dominare impulsi ancestrali con la sola forza di volontà non è impresa semplice.
La componente genetica, nella genesi delle tossicodipendenze e dei disordini alimentari, è notevole ed infatti indice per circa il 50 per cento dei casi.
I geni che sono coinvolti hanno meccanismi d’azione molto diversi tra di loro ed agiscono a livelli completamente indipendenti tra di loro: velocità ed efficienza di metabolizzazione di cibo o droghe, probabilità di avere comportamenti a rischio ….

Nel caso dell’obesità, per esempio, un individuo potrebbe essere troppo sensibile ad un meccanismo di ricompensa del cibo.
Altri individui hanno una scarsa risposta dei meccanismi regolanti la sazietà e quindi molto vulnerabili ai segnali collegati al cibo.

Dal punto di vista farmacologico personalmente nutro speranze zero perché, per quanto possa essere inventata “ la pillola del secolo”, i meccanismi psicologici credo che sarebbero in grado di spazzare via, dopo una fase di adattamento, qualsiasi sostanza.

Ritengo che andrebbe data maggiore importanza alle terapie di gruppo in quanto lo stigma sociale di obesità e tossicodipendenza crea un forte senso di isolamento.
In tal caso lo stato di stress creatosi in stati di solitudine  è letteralmente benzina sul fuoco.

Diverso è il gruppo: questo  ponendosi, per definizione, come “terzo elemento”, permette allo stesso paziente di percepire e possedere, nel lungo periodo, una migliore consapevolezza dei suoi problemi.
Un’attenta riflessione da fare è la seguente: se la droga rappresenta l’illegale, quindi non è facilmente alla portata di tutti, diverso è il discorso col cibo, sempre presente nelle nostre vite.

Ho letto di un esperimento in cui ai topi era somministrata una dieta ricca di zuccheri e ppoi un antagonista degli oppiodi come il naxolone: veniva scatenata un’importante crisi di astinenza .
Questo ci indica come una dieta al alto contenuto di zuccheri  genera un meccanismo di dipendenza.

Dato che questo è valido anche per noi essere umani, interventi atti a mitigare i sintomi dell’astinenza potrebbe essere d’aiuto a chi segue una dieta.

Il mio punto di vista è molto lontano da quelle delle aziende farmaceutiche, credo molto nel potere della mente, le "pillole" per quanto magiche esse siano, rappresenteranno sempre, nell'ambito dei disordini alimentari, un tentativo di ovviare al problema raggirando l'ostacolo.

Consapevolezza, priorità e forza di volontà fanno la differenza!

lunedì 23 gennaio 2012

OPS, MA STIAMO DIVENTANDO GRASSI?

Nel  corso degli ultimi due decenni stile di vita e dieta hanno subito un notevole ridimensionamento con conseguente molto negative per la salute umana.

Il problema dell’obesità sta diventando più grande della fame anche in zone del mondo che storicamente hanno dovuto affrontare il dilemma quotidiano del reclutamento delle calorie.
In paesi come Messico, Egitto, Sudafrica, più della metà degli adulti è in sovrappeso, circa un quarto sono obesi.

In Sudamerica, in Medio Oriente e nell’Africa settentrionale, almeno un adulto su quattro è in sovrappeso.
Il numero delle persone il sovrappeso al mondo è di circa 1,3 miliardi contro gli 800 milioni di persone sottopeso!
Se inizialmente si associava il problema sovrappeso/obesità a tassi di ricchezza più alti, ora lo scenario sta cambiando.

Le percentuali di obesi nei paesi in via di sviluppo stanno diventando ormai simili a quelli dei paesi europei o dell’America settentrionale.
Nel corso di una generazione abbiamo assistito alla transizione alimentare, su cui scriverò un articolo a breve, una delle conseguenze sociali più dure della globalizzazione.

Alcuni cambiamenti come consumo di bevande gasate, aumento dell’utilizzo di cibi d’origine animale, aumento della sedentarietà ha creato una serie di atteggiamenti che (irreversibilmente? Spero di no…) contribuiscono, giorno per giorno, all’aumento di malattie come diabete e cardiopatie.
Cosa c’è dietro a queste dinamiche? Perché paesi poveri ora si comportano da questo punta di vista come paesi ricchi?

La quadratura del cerchio non è così semplice, sono tante le situazioni che s’intrecciano.
Il ruolo dei governi non è secondario, a dispetto del tentativo ipocrita dei vari Ministeri della Salute di “educare il popolo”: sono gli stessi sati ricchi a vendere e inondare i paesi in via di sviluppo di cibi grassi, ricchi di zuccheri semplice tutti, ovviamente a basso costo.

Il Messico è un esempio utile alla nostra causa.
Nel non lontano 1989 il 10 per cento della popolazione era in sovrappeso: in quegli anni povertà e fame erano il vero problema, l’obesità non la conosceva in sostanza nessuno.
Le rilevazioni del 2006 hanno verificato che tutto è cambiato: la media della popolazione in sovrappeso era di circa il 65 per cento.

I diabetici di tipo 2 (la forma se insorge in età adulta) messicani erano in sostanza inesistenti circa venti anni fa, a oggi sono un sesto della popolazione.
Sicuramente la vicinanza a paesi come gli Stati Uniti hanno determinato influenza dal punto di vista culturale m anche fenomeni come l’inurbamento ha un ruolo importante.
Un nuovo fattore che aumenta in maniera quasi esponenziale il ruolo di uno stile di vita sbagliato nella genesi di una malattia è la possibilità di fare dei check up sul paziente.

Mentre nei paesi occidentali il monitoraggio delle condizioni di salute del paziente è una costante durante tutta la sua vita, questa prassi non caratterizza le popolazioni dei paesi in via sviluppo.
Questa dinamica si traduce in diagnosi non sempre corrette o per lo meno tardive che aumentano la possibilità di avere complicazioni.

Dieta e stile di vita nei paesi in via di sviluppo

Uno dei principali fattori che ha contribuito all’aumento degli obesi nei paesi in via di sviluppo è l’uso di bevande dolcificate.
Le uniche bevande che l’uomo ha conosciuto durante la sua evoluzione sono acqua e latte.
Il problema sorge per un mancato meccanismo di compensazione.

Se beviamo acqua mangiamo una determinata quantità di cibo; se beviamo una Fanta o una Coca-Cola siamo attenti a diminuire l’introito calorico del pasto? Direi proprio di no…

Secondo alcune rilevazioni americane, tra il 1977 e il 2006 i dolcificanti aggiunti alle bevande hanno aumentano l’apporto calorico di circa 137 kcal: in un anno sono circa 7 kg.

Una domanda che mi rivolgono spesso i pazienti in studio è questa: dottore sono ingrassato/a ma in realtà mangio poco!
Un attimo, lo dico io se tu mangi poco: questa rilevazione apre la porta a quelle calorie che io chiamo “invisibili”; mangiamo senza capire quello che accade realmente.

La colpa è da attribuire alle grandi catene di supermercati le quali, mosse da interessi economici e dalla ricerca di nuovi mercati, hanno invaso i paesi in via di sviluppo.

Risultato? Crescente numero di supermercati con disponibilità di cibo a basso costo.
In America latina il numero di negozi è aumentato dal 15 per cento del 1990 al 60 per cento del 2000.

Altro fattore è l’aumento del consumo di cibi ad alta densità energetica.
Un esempio importante riguarda gli oli: i progressi tecnologici hanno reso questa categoria di alimenti facilmente accessibili anche alle famiglie più povere per via del loro basso prezzo.
In Cina, l’aumento del consumo giornaliero di oli è passato da 14,8 grammi del 1989 a 35,1 grammi del 2004: 183 kcal in più al giorno.

Morale della favola?
I due fattori contribuiscono all’introduzione giornaliera delle calorie contenute in un piatto di pasta: che effetto vi fa pensare di mangiare, oltre quello che già fate adesso, un piatto di pasta in più ogni giorno?

L’altro grande cambiamento è l’enorme aumento dei cibi di origine animale.
Negli ultimi venti anni l’aumento della richiesta e del consumo di carne, pesce, pollame e uova sono da attribuirsi quasi tutto ai bisogni dei paesi in via di sviluppo.
Il risultato è l’aumento dell’incidenza delle malattie cardiache dovuto in gran parte all’enorme introito di grassi saturi.

Domanda!

Cosa dovrebbero fare le società moderne per diminuire dati che senza sosta aumentano?

L’ipocrisia delle industrie alimentari è comica allo stato puro: secondo il genio di turno il compito dello stato è quello di educare la gente a mangiare bene.
Ok, perfetto, non hanno torto, TEORICAMENTE : ma se poi compri ore e ore di spazi pubblicitari, spazi non casuali, ma scelti ad hoc cosa vuoi che cambi?
Se non sarà messa sotto controllo la transizione alimentare questo fenomeno causerà un aumento delle malattie e una terrificante diminuizione della speranza di vita.

Se non saranno adottate politiche preventive, i costi sanitari potranno mettere in ginocchio le economie di diversi paesi in via di sviluppo.

Arrestare l’aumento dell’obesità è difficilissimo.
Gli studi scientifici degli ultimi anni stanno concentrando lo sforzo in questo senso, ma oggettivamente non basta.

La storia evolutiva dell’uomo ci insegna chiaramente che abbiamo sempre ricercato un’alimentazione più gustosa e stili di vita sedentaria.
Oggi, personalmente, se vogliamo rompere questi nuovi stili di vita e creare generazioni future più rispettose verso se stesse e quindi più sane dobbiamo invertire questa tendenza  PUNTO !





giovedì 19 gennaio 2012

L' EVOLUZIONE DEL MERCATO ALIMENTARE MODERNO

“Gli esseri umani furono concepiti per essere marcatamente conservatori quando si tratta di cibo”: sono le parole di Peter Leathwood, uno dei massimi dirigenti Nestlè.

Perché parto da quest’affermazione?
Perché questo tipo di atteggiamento è ben chiaro alle tante aziende alimentari.

I piani marketing delle industrie alimentari moderne sono partiti dal presupposto che ogni cambiamento di sapore è identificato dall’uomo come un campanello d’allarme.
La chiave di svolta nella catena produttiva sarebbe stata quella di tradurre i desideri dei consumatori in migliaia di prodotti comodi e dal gusto accettabile.

Cos’è successo, nello specifico, all’agricoltura e all’industria moderna?
Il primo grande passo è stato il diffondersi dei cibi pronti che hanno delegato la fase della preparazione degli alimenti dalle casalinghe alle varie Nestlè, Kellog’s, Danone…
Il legame tra i consumatori e i cibi pronti è diventato strettissimo ed è stato, col tempo, il principale strumento per aumentare il fatturato.

La base di questo tipo di evoluzione risiede nella possibilità di alterare, spesso in maniera significativa gli ingredienti, per renderli così più idonei ai processi industriali (a discapito della salute del consumatore).
Col passare del tempo la capacità dei consumatori di prepararsi le proprie pietanze è andata diminuendo per via della rapida industrializzazione e dei conseguenti ritmi frenetici che caratterizzano la nostra società.
Questa debolezza è stata sfruttata al massimo dagli squali delle industrie alimentari che hanno sentito odore di sangue nel declino del tempo che l’uomo moderna dedica a cibo e gastronomia.
E per quanto le attività culinarie fanno da cornice a tradizioni o a eventi, chi la pratica potrebbe fare a meno di eseguirle se solo ce ne fosse la possibilità.
Il tumulto economico-sociale delle Rivoluzione Industriale è stato importantissimo.
La nascente classe media era privata ora del tempo necessario alla preparazione dei cibi ed esigeva, dopo aver passato ore al lavoro, cibi semplici e veloci da preparare o consumare.
 La stessa Rivoluzione che aveva svuotato le campagne stava ora cambiando il volto dell’industria alimentare.
Nasce così una serie di prodotti nuovi di zecca: cereali da colazione, zuppe pronte, latte condensato, sottaceti.
Questa serie di prodotti non sarebbero stati certo gustosi come quelli fatti in casa ma di sicuro rappresentavo quelle caratteristiche in termini di accessibilità economica, sicurezza e praticità di cui il lavoratore moderno avevo disperato bisogno.
Col passare del tempo le aziende alimentari diventavano più competitive e, perciò, i produttori si resero conto di dover non più dominare né uno specifico alimento né un singolo mercato: per tutelare la costante e assillante necessità di tener alti i ricavi, le aziende cercarono di assicurarsi una fetta sempre più larga di mercati e di creare una serie nuova di prodotti con cui invadere il mercato.
La Nestlè iniziò ad acquisire centinaia di piccole aziende europee e in altre aree del mondo, ampliando anche la propria linea di prodotti.
La logica di aziende come la Nestlè era tanto semplice quanto efficace: la loro grandezza era di sinonimo di una tale autorità che si traduceva nella possibilità di procurarsi materie prime ai prezzi realmente ed oggettivamente più bassi.
L’evoluzione delle cose rendeva le aziende alimentari le principali protagoniste della catena “terra-tavola”, quindi dal produttore al consumatore.
Se a molti questo tipo di trasformazione dei mercati e delle dinamiche del mercato alimentare può sembrare sbagliata e illogica in realtà tutto è tranne che anacronistico e incongruo con i tempi.
Perché sono ora le aziende alimentari a dettare le regole?
Perché ora i contadini e le loro schiene stanche non sono più il testo ma il contesto?
La risposta è semplice.
Secondo lo stesso principio per il quale gli agricoltori moderni stavano rimpiazzando una serie di piccoli contadini producendo in maniera più efficiente e a prezzi minori, così le aziende alimentari si facevano carico della preparazione ed il confezionamento delle pietanze, rendendo tutto più economico e pratico.
I critici saranno aspri nella valutazione di questa nuova dinamica post-industriale ma credo che la maggior parte dei consumatori, col tempo, abbia accettato questa pratica percependo in maniera in parte consapevole qualche male necessario intrinseco.
L’asfissiante necessità del lavoratore moderno di praticità è stata l’unico fattore a modulare in un senso l’evoluzione dell’azienda alimentare moderna?
Assolutamente no!
Parto da un esempio. Leggevo tempo fa che a un certo punto negli anni Trenta in Brasile le piantagioni di caffè erano così vaste che avevano saturato il mercato.
Così fu chiesto ai dirigenti Nestlè di inventarsi qualcosa e, malgrado fossero specializzati solo nella trasformazione del latte, riuscirono a rispondere a questa richiesta.
Trasformarono i chicchi in eccedenza in un formato più pratico che pose il consumatore nella condizione di pagare un prezzo.
Il segreto è nella differenziazione (leggere le opere di Michael Porter, noto professore alla Harvard Business School dove dirige l'Institute for Strategy and Competitiveness).
Supponiamo che due agricoltori producano frumento: entrambi non possono applicare chissà quale rincaro quindi se si decidesse di aumentarne il prezzo al quintale molto probabilmente i loro clienti si rivolgerebbero alla concorrenza.

Chi produce prodotti molto simili ad altri avrà margini d’incremento del prezzo in sostanza nulli.

La stesa cosa succede per i produttori di generi alimentari trasformati?
Assolutamente no!

Le attuali aziende alimentari focalizzano la propria attenzione sulla possibilità di rendere i livelli di trasformazione sempre più spinti secondo il principio: materia prima più ti trasformo, più mi fai guadagnare!
Avete notato come il bancone frigo si riempia periodicamente di nuovi prodotti?

Questo perché ogni sorta di “maledetta invenzione alimentare” prima o poi andrà incontro ad un calo delle proprie vendite e diffido che esista un dirigente d’azienda disposto ad accettare una stasi del mercato senza intervenire.

Inizia così la ricerca di un qualcosa di nuovo col il quale invadere il mercato facendo credere ( RIPETO FACENDO CREDERE) al consumatore di  avere esigenza di una nuova pietanza.

Questo quasi infinito potere d’incremento e determinazione del prezzo pone il consumatore nella condizione di non comprare solamente vitamine e calorie ma anche e soprattutto tutta la pubblicità e la praticità che ci sono dietro al prorotto.

In definitiva non saranno certo le mie parole a bloccare mercati in espansioni o industrie alimentari preoccupate di aumentare i propri introiti a discapito della salute di consumatori ingenui ed inermi ma iniziare a sensibilizzarci sull’argomento mi pare d’obbligo.

mercoledì 18 gennaio 2012

Dottor Maiullari Nutrizionista: BURRO VS MARGARINA

Dottor Maiullari Nutrizionista: BURRO VS MARGARINA: La caratteristica che distingue questi due alimenti non è il valore calorico ma la composizione degli acidi grassi. Mentre nel burro il 62...