giovedì 8 marzo 2012

OCCHIO ALL' ETICHETTA


Ogni qualvolta all’interno di un supermercato acquistate qualcosa e provate a leggere l’etichetta impazzite?

Non c’è da meravigliarsi : la regolamentazione delle etichette non è così rigida e precisa e, quindi, soggetta ad interpretazione che causa confusione.
Proverò a darvi un aiuto.

Partiamo dai marchi di origine: questi sono stati soggetti ad un regolamento emanato dalla Comunità Europea nel 1992 ( n.2082) e poi aggiornato nel 2006(n. 509) inserendo i potenziali prodotti sotto tre marchi:

·        DOP:  Denominazione di origine protetta 
·        IGP: Indicazione geografica protetta
·        STG: Specialista tradizionale garantita

Eccovi degli esempi in questa tabella

Stato membro UE
Prodotto DOP
Prodotto IGP
Prodotto STG
Italia
Prosciutto di Parma, pecorino sardo, grana padano, Parmigiano-Reggiano, asiago
Lardo di Colonnata, pomodorino pachino
mozzarella
Francia
Roquefort


Belgio


Lambic
Spagna


Jamòn serrano
Grecia
Feta



A vedere questa tabella voglio ricordare al mondo chi siamo in fatto di gastronomia e che la politica dovrebbe difendere in maniera più seria i nostri prodotti  ma questo è un altro discorso ( recentemente, prima in Belgio poi in Germania sono stato “accusato” di essere troppo nazionalista sul cibo: una bellissima accusa).

Quando parliamo di marchio DOP intendiamo che il processo di lavorazione/allevamento e lavorazione debba avvenire in una zona geografica precisa: i maiali del prosciutto di Parma devono essere nati, allevati, macellati e lavorati nel Parmense.

Il caso dell’IGP è diverso: in questo caso produzione, trasformazione e/o elaborazione del prodotto devono avvenire in’area determinata.

Recentemente ho scoperto che la bresaola della Valtellina IGT è fatta con bovini sudamericani incrociati con lo zebù.
Il marchi STG è quello meno geografico di tutti: hanno questa dicitura la pizza e la mozzarella, che possono essere tranquillamente prodotti a Miami.

Il vino ha una regolamentazione simile:

·        DOC:  Denominazione di origine controllata
·        DOCG: Denominazione di origine controllata e garantita
·        IGT: Indicazione geografica tipica

La prima di queste tre sigle nasce, tramite regolamentazione ufficiale, alla fine degli anni ’60 e viene affiancata dalla altre due durante gli anno ’90.

La denominazione DOCG è indicata obbligatoriamente in etichetta e consiste o semplicemente nel nome geografico di una zona viticola (ad esempio Barolo, comune in provincia di Cuneo o Carmignano, comune in Provincia di Prato), o nella combinazione del nome storico di un prodotto e della relativa zona di produzione (ad esempio Vino Nobile di Montepulciano, il nome con cui è noto storicamente il vino prodotto a Montepulciano, in provincia di Siena).

Le DOCG sono riservate ai vini già riconosciuti a denominazione di origine controllata (DOC) da almeno cinque anni che siano ritenuti di particolare pregio.

Tali vini, prima di essere messi in commercio, devono essere sottoposti in fase di produzione ad una preliminare analisi chimico-fisica, ad un esame organolettico e ad un'analisi sensoriale (assaggio) eseguita da un'apposita commissione.

La sigla DOC, è un marchio di origine italiano che certifica la zona di origine e delimitata della raccolta dei materiali utilizzate per la produzione del prodotto sul quale è apposto il marchio.
 La denominazione di origine controllata fu istituita con il decreto legge del 12 luglio 1963, n. 930, che si applica anche ai vini "Moscato Passito di Pantelleria" e "Marsala".

Il marchio IGT è quello meno rigoroso e rappresenta i vini meno costosi a più ampia produzione.
Dal 2009 la denominazione DOC, così come la DOCG, sono state assorbite dalla nuova denominazione DOP.

Altro alimento sottoposto ad una ricca normativa è il latte.

La prima classificazione viene effettuata tenendo in considerazione la percentuale di grasso:

·        Intero: 3,5% di grasso
·        Parzialmente scremato: tra 1,5 e 1,8%
·        Scremato: meno di 0,5%

La seconda classificazione riguarda scadenze e aspetto microbiologici:

·        Fresco: latte pastorizzato, quindi sottoposto a trattamento termico tra i 75° e gli 85°; viene stabilita per legge una scadenza( non oltre i 6 giorni successivi al trattamento, che deve avvenire entro 24 ore dalla mungitura); deve essere indicato sulla confezione il luogo di provenienza e deve essere trasportato e conservato tra o 0° e i 4°
·        Uht: latte riscaldata a 135° per 2 secondi; è il latte a lunga conservazione che, una volta aperto, va tenuto a temperatura ambiente
·        Microfiltrato: non è più naturale; prima della pastorizzazione è separato dalla panna e filtrato da un setaccio con maglie da 1,4 a 2 micron; il latte poi si ricombina con la panna, viene messo in commercio mantenendo la catena del freddo
·        Crudo: è il latte venduto crudo ai distributori automatici, è solo refrigerato a 4°, non è omogeneizzato e questo provoca un tappo cremoso intorno al tappo della bottiglia. Deve essere indicato l’obbligo di bollitura.

Le ultime due diciture sono:

·        alta qualità: il latte deve avere un contenuto di proteine di  almeno 32g/litro
·        alta digeribilità: ha un contenuto di lattosio basso per venire incontro agli individui che esprimono quantità dell’enzima lattasi non sufficienti a digerire il lattosio

Una tipologia di prodotti che sta aumentando notevolmente la sua “popolarità”  è quella etichettata col marchio biologico.

Il regolamento CE 834 del 2007 stabilisce un alimento è bio se è stato ottenuto da una coltivazione che comprende l’uso di prodotti chimici approvati dalla legge, se non è stato miscelato con alimenti non bio o se è libero da alimento OGM.
Attualmente ci sono 16 aziende in Italia che si occupando di certificazione “bio”, sono private e sono autorizzate dal ministero per le Politiche Agricole.

La differenza principale tra agricoltura biologica e convenzionale è nel livello di energia all’interno del sistema di produzione: nell'agricoltura convenzionale si impiega un notevole quantitativo di energia proveniente da diversi processi industriali (industria chimica, estrattiva, meccanica, ecc.); al contrario, l'agricoltura biologica usa in parte energia come nell’agricoltura convenzionale e in parte la materia sotto forma organica. 

In altre la parola stessa per indicare questo modo di fare agricoltura è indubbiamente più precisa: si parla infatti di agricoltura organica o agricoltura ecologica evidenziando così l’aspetto fondamentale che riguarda la conservazione della sostanza organica del terreno o l'intenzione originaria di trovare una forma di agricoltura a basso impatto ambientale.

Nello specifico alcuni alimenti portano la dicitura da agricoltura biologica: in questo caso le materie prime sono ricavate con criteri bio.

Un esempio è quello del vino: la materia prima può essere stata ricavata con criteri bio ma durante le normali operazioni che avvengono in cantina il vino può essere venuto in contatto con sostanze non bio e questo, dal punto di vista legislativo, fa cadere i termini per la certificazione bio.

A breve farò uno zoom più approfondito sui parametri “non nutrizionali” indicati sulle etichette.

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