Ogni
qualvolta all’interno di un supermercato acquistate qualcosa e provate a
leggere l’etichetta impazzite?
Non c’è da
meravigliarsi : la regolamentazione delle etichette non è così rigida e precisa
e, quindi, soggetta ad interpretazione che causa confusione.
Proverò a
darvi un aiuto.
Partiamo dai
marchi di origine: questi sono stati soggetti ad un regolamento emanato dalla
Comunità Europea nel 1992 ( n.2082) e poi aggiornato nel 2006(n. 509) inserendo
i potenziali prodotti sotto tre marchi:
·
DOP: Denominazione
di origine protetta
·
IGP: Indicazione geografica protetta
·
STG: Specialista tradizionale garantita
Eccovi degli
esempi in questa tabella
Stato membro UE
|
Prodotto DOP
|
Prodotto IGP
|
Prodotto STG
|
Italia
|
Prosciutto di Parma, pecorino sardo,
grana padano, Parmigiano-Reggiano, asiago
|
Lardo di Colonnata, pomodorino pachino
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mozzarella
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Francia
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Roquefort
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Belgio
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Lambic
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Spagna
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Jamòn serrano
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Grecia
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Feta
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A vedere
questa tabella voglio ricordare al mondo chi siamo in fatto di gastronomia e
che la politica dovrebbe difendere in maniera più seria i nostri prodotti ma questo è un altro discorso ( recentemente,
prima in Belgio poi in Germania sono stato “accusato” di essere troppo
nazionalista sul cibo: una bellissima accusa).
Quando
parliamo di marchio DOP intendiamo che il processo di lavorazione/allevamento e
lavorazione debba avvenire in una zona geografica precisa: i maiali del prosciutto
di Parma devono essere nati, allevati, macellati e lavorati nel Parmense.
Il caso
dell’IGP è diverso: in questo caso produzione, trasformazione e/o elaborazione
del prodotto devono avvenire in’area determinata.
Recentemente
ho scoperto che la bresaola della Valtellina IGT è fatta con bovini
sudamericani incrociati con lo zebù.
Il marchi
STG è quello meno geografico di tutti: hanno questa dicitura la pizza e la
mozzarella, che possono essere tranquillamente prodotti a Miami.
Il vino ha
una regolamentazione simile:
·
DOC: Denominazione
di origine controllata
·
DOCG: Denominazione di origine controllata e garantita
·
IGT: Indicazione geografica tipica
La prima di
queste tre sigle nasce, tramite regolamentazione ufficiale, alla fine degli
anni ’60 e viene affiancata dalla altre due durante gli anno ’90.
La denominazione DOCG è indicata
obbligatoriamente in etichetta e consiste o semplicemente nel nome geografico
di una zona viticola (ad esempio Barolo, comune in provincia di Cuneo o
Carmignano, comune in Provincia di Prato), o nella combinazione del nome
storico di un prodotto e della relativa zona di produzione (ad esempio Vino
Nobile di Montepulciano, il nome con cui è noto storicamente il vino prodotto a
Montepulciano, in provincia di Siena).
Le
DOCG sono riservate ai vini già riconosciuti a denominazione di origine
controllata (DOC) da almeno cinque anni che siano ritenuti di particolare
pregio.
Tali
vini, prima di essere messi in commercio, devono essere sottoposti in fase di
produzione ad una preliminare analisi chimico-fisica, ad un esame organolettico
e ad un'analisi sensoriale (assaggio) eseguita da un'apposita commissione.
La
sigla DOC, è un marchio di origine italiano che certifica la zona di origine e
delimitata della raccolta dei materiali utilizzate per la produzione del
prodotto sul quale è apposto il marchio.
La denominazione di origine controllata fu
istituita con il decreto legge del 12 luglio 1963, n. 930, che si applica anche
ai vini "Moscato Passito di Pantelleria" e "Marsala".
Il
marchio IGT è quello meno rigoroso e rappresenta i vini meno costosi a più
ampia produzione.
Dal
2009 la denominazione DOC, così come la DOCG, sono state assorbite dalla nuova
denominazione DOP.
Altro
alimento sottoposto ad una ricca normativa è il latte.
La
prima classificazione viene effettuata tenendo in considerazione la percentuale
di grasso:
·
Intero:
3,5% di grasso
·
Parzialmente
scremato: tra 1,5 e 1,8%
·
Scremato:
meno di 0,5%
La
seconda classificazione riguarda scadenze e aspetto microbiologici:
·
Fresco:
latte pastorizzato, quindi sottoposto a trattamento termico tra i 75° e gli
85°; viene stabilita per legge una scadenza( non oltre i 6 giorni successivi al
trattamento, che deve avvenire entro 24 ore dalla mungitura); deve essere
indicato sulla confezione il luogo di provenienza e deve essere trasportato e
conservato tra o 0° e i 4°
·
Uht:
latte riscaldata a 135° per 2 secondi; è il latte a lunga conservazione che,
una volta aperto, va tenuto a temperatura ambiente
·
Microfiltrato:
non è più naturale; prima della pastorizzazione è separato dalla panna e
filtrato da un setaccio con maglie da 1,4 a 2 micron; il latte poi si ricombina
con la panna, viene messo in commercio mantenendo la catena del freddo
·
Crudo:
è il latte venduto crudo ai distributori automatici, è solo refrigerato a 4°,
non è omogeneizzato e questo provoca un tappo cremoso intorno al tappo della
bottiglia. Deve essere indicato l’obbligo di bollitura.
Le
ultime due diciture sono:
·
alta qualità:
il latte deve avere un contenuto di proteine di almeno 32g/litro
·
alta
digeribilità: ha un contenuto di lattosio basso per venire incontro agli
individui che esprimono quantità dell’enzima lattasi non sufficienti a digerire
il lattosio
Una
tipologia di prodotti che sta aumentando notevolmente la sua “popolarità” è quella etichettata col marchio biologico.
Il
regolamento CE 834 del 2007 stabilisce un alimento è bio se è stato ottenuto da
una coltivazione che comprende l’uso di prodotti chimici approvati dalla legge,
se non è stato miscelato con alimenti non bio o se è libero da alimento OGM.
Attualmente
ci sono 16 aziende in Italia che si occupando di certificazione “bio”, sono private
e sono autorizzate dal ministero per le Politiche Agricole.
La
differenza principale tra agricoltura biologica e convenzionale è nel livello
di energia all’interno del sistema di produzione: nell'agricoltura
convenzionale si impiega un notevole quantitativo di energia proveniente da
diversi processi industriali (industria chimica, estrattiva, meccanica, ecc.);
al contrario, l'agricoltura biologica usa in parte energia come nell’agricoltura
convenzionale e in parte la materia sotto forma organica.
In
altre la parola stessa per indicare questo modo di fare agricoltura è
indubbiamente più precisa: si parla infatti di agricoltura organica o agricoltura
ecologica evidenziando così l’aspetto fondamentale che riguarda la
conservazione della sostanza organica del terreno o l'intenzione originaria di
trovare una forma di agricoltura a basso impatto ambientale.
Nello
specifico alcuni alimenti portano la dicitura da agricoltura biologica: in
questo caso le materie prime sono ricavate con criteri bio.
Un
esempio è quello del vino: la materia prima può essere stata ricavata con
criteri bio ma durante le normali operazioni che avvengono in cantina il vino
può essere venuto in contatto con sostanze non bio e questo, dal punto di vista
legislativo, fa cadere i termini per la certificazione bio.
A
breve farò uno zoom più approfondito sui parametri “non nutrizionali” indicati
sulle etichette.