mercoledì 2 maggio 2012

SICUREZZA ALIMENTARE E NUOVE TECNOLOGIE


La quantità dei prodotti alimentari venduta in ogni angolo del mondo è oggettivamente elevata ed è, nel frattempo, molto basso il numero di alimenti trovati contaminati.
Una nuova fobia americana, in parte giustificata, è l’idea per la quale un nuovo modo di fare terrorismo potrebbere quello di avvelenare i cibi mettendo in ginocchio l’economia mondiale.

Ma è davvero reale la mancanza di sicurezza del nostro cibo?

Se un terrorista o un dipendente mal fidato decidessero di contaminare una partita di wurstel o latte sarebbe complesso analizzare la catena di produzione ed individuare i “colpevoli”.
E i danni? Anche loro potenzialmente non identificabili: fino a migliaia di euro per le aziende, fino alla morte per i consumatori.
Bisogna comprendere che la produzione ed il confezionamento di un succo di frutta o del latte sono processi complessi e diversi in molti punti.
Ogni fase nel processo industriale legato al cibo è un potenziale punto debole ed non vi è modo di quantificare il possibile danno.

Il sistema di controllo chiamato HACCP (Hazard Analysis and Critical Control Points) è una tipologia di autocontrollo igienico.

Questo processo si basa sul controllo dei punti più sensibili della lavorazione degli alimenti in cui si prospetta un pericolo di contaminazione sia di natura biologica che chimica ma anche fisica.

Diversi esperti ritengono che l’uso di una solo approccio possa non bastare per controllare l’intera filiera di produzione.

Attualmente sono di fase di studio diversi sistemi:

1)      RIVELATORI MICROFLUIDICI: l’Università del Wisconsin sta sviluppando dei chip dotati di anticorpi, alloggiati magneticamente, che potrebbero rivelare sostanze come il botulino nel latte.

2)      CONFEZIONI ATTIVE: E.coli, salmonella ed altri agenti patogeni potrebbero essere individuate grazie a finestre. Lo scopo di queste microaperture sarebbe quello di contare i microrganismi magari legandoli ad enzimi o a precisi metaboliti.

3)      ETICHETTE RFID: sono etichette a radiofrequenza leggibili da uno scanner ed indicanti il luogo di lavorazione. 

4)      ETICHETTE COMMESTIBILI: si tratta di un’idea molto pratica perché permette attraverso marcatori microscopici di indicare direttamente sul prodotto il sito d’origine. Le dimensioni piccole renderebbero difficile l’azione dei terroristi e degli operatori-criminali di cibo coi loro alimenti contaminati o contraffatori. Questo metodo può essere perseguito attraverso l’uso di spray e, in alternativa, si può sempre spruzzare una pellicola commestibile la quale, esposta a fasci di luce laser, imprime dei codici di identificazione.

Lo scopo di questi dispositivi è uguale: evitare problemi microbiologici e, nel caso in cui ne sorgesse uno, identificare i punti critica della catena produttiva.

Le etichette RFID sono quelle più evolute e potranno diventare sempre più piccole ed economiche in modo da diventare accessibili ad una fascia di prodotti maggiore.

Il metodo dell’etichettatura è vantaggioso perché rapido, semplice e non invasivo.
Ad oggi si stanno sviluppando diversi tipi di etichettature per andare a valutare una gamma di parametri sempre più ampia.
Alcune etichette valutano se il cibo è stato esposto ad alte temperature, altre valutano quando tempo il cibo ha impiegato prima di essere reso disponibile nella grande distribuzione.

Molto utili sarebbero, a mio parere, sarebbero le confezioni attive in quanto capaci di avvisare direttamente il produttore.
Come direbbe il buon Lubrano ( a proposito, ma che fine ha fatto? ) la domanda nasce spontanea: ma perché un metodo così pratico e così utile non viene usato su larga scala?

Soldi, soldi, è sempre una questione di soldi.

l prezzo dell’etichettatura,a volte, può equivalere al guadagno che il contadino ha per ogni casetta di frutta.
In questo senso si sta lavorando all’abbassamento dei costi: la strada però non è così semplice perché si tratta pur sempre di microtecnologie che, per definizione, non sono proprio economiche.

Spero che le aziende si sensibilizzo sempre più alla questione per due motivi
1)      La sicurezza del consumatore ( e su questo argomento non c’è niente da aggiungere)
2)      L’abbassamento dei costi di “sicurezza”: se le aziende utilizzassero su larga scala l’etichettatura, i costi di produzione sarebbero molto più bassi.

Le grandi aziende devono capire che è necessario effettuare controlli ad ogni livello, sopratutto in stati “gastronomicamente avanzanti” come il nostro e quindi, se vogliono davvero protegger i loro prodotti, devo rendere sempre più sicuri tutti i passaggi.

lunedì 30 aprile 2012

TESORO, MI SI E' ALLARGATO IL RAGAZZINO


Oggi mi occupo di fare una piccola panoramica sulle statistiche relative ad uno dei problemi socio-sanitari di maggior interesse: l’obesità.

Parlare di problema sociale è tanto importante quanto lo è capire il testo e il contesto di queste patologie.

Non si diventa obesi per caso, ci sono diverse strade che portano un obeso ad essere tale e la sicurezza è una: i costi per sostenere l’obesità aumentano e aumenteranno sempre più.

Globalmente nel 2008 1,5 miliardi di adulti erano in sovrappeso: 200 milioni di uomini e circa 300 milioni di donne erano obesi. 

Se inizialmente obesità e sovrappeso erano da considerarsi problemi solo dei Paesi ricchi ora lo sono anche per Paesi in via di sviluppo.

Qui non si tratta di avere qualche etto o chilogrammo in più: pesare oltre un certo limite vuole dire avere il quinto fattore di rischio per i decessi a livello mondiale, causando ogni anno la morte di circa 2,8 milioni di adulti.

L’obesità è un fattore di rischio per una serie di condizioni e patologie croniche come le malattie ischemiche del cuore, l’ictus, l’ipertensione arteriosa, il diabete tipo 2, le osteoartriti e alcuni tipi di cancro.

Basta guardarsi in giro per notare come i bambini di oggi siano più boteriani rispetto a quelli di un decenni fa.
Nel 2010, circa 43 milioni di bambini sotto i 5 anni di età sono stimati in sovrappeso e di questi circa 35 milioni vivono in Paesi in via di sviluppo.


ZOOM SULL’ITALIA
Nel 2007 il Centro nazionale di prevenzione e controllo delle malattie (Ccm) del ministero  della Salute ha promosso il progetto “Sistema di indagini sui rischi comportamentali in età 16-17 anni”.

Questo studio è articolato in tre sezioni:
1)     OKKIO ALLA SALUTE: la sezione che si occupa sulle abitudini alimentari
2)     ZOOM 8
3)     il progetto HBSC-ITALIA: la seconda e la terza sezione studiano più in generale i comportamenti collegati alla salute.
L’obesità nei giovani

I dati relativi a Hbsc, presentati in occasione del convegno del 12 ottobre 2010 hanno evidenziato he:
  • l’eccesso ponderale diminuisce al crescere dell’età ed è maggiore nei maschi. La frequenza dei ragazzi in sovrappeso e obesi è più elevata negli 11enni (29,3% nei maschi e 19,5% nelle femmine) che nei 15enni (25,6% nei maschi e 12,3% nelle femmine)
  • i giovani di 15 anni (47,5% dei maschi e 26,6% delle femmine) fanno meno attività fisica rispetto ai ragazzi di 13 (50,9% dei maschi e 33,7% delle femmine)
  • tra i quindicenni, il 40% dei maschi e il 24% delle femmine dichiara di consumare alcol almeno una volta a settimana
  • dichiara di fumare almeno una volta a settimana, il 19% dei quindicenni (sia maschi che femmine)
  • si riscontra un minor consumo quotidiano di verdura nelle Regioni del Sud e tra i maschi

Riflessioni? poche e semplici !!!


MENO MC DONALD
MENO MERENDINE
MENO PLAYSTATION
PIU’ ATTIVITA FISICA

martedì 10 aprile 2012

TO KEBAB OR NOT TO KEBAB


Vi siete mai chiesti cosa sia il kebab?

Ad oggi il kebab è diventato uno dei "mangiare veloce" più diffusi al mondo, pensate ad ogni vostro viaggio ed penserete sempre ad un angolo di  strada con un McDonald o un chioscho che vende kebab.

Mahmut Aygun, emigrato in Germania dalla Turchia negli anni Settanta, è stato uno dei primi fautori della diffusione di questo alimento nel nostro continente.
Tradizione vuole che il kebab fosse, nei paesi arabi dove è nato, un piatto artigianale e rustico di carne, anche abbastanza fresco e nutriente, servito con verdure e salse speziate. 

La versione più diffusa oggi è il Doner Kebab (ovvero la versione “da passeggio”, diffusa dalla Germania in tutta Europa).

Quel sapore anche “non male” e a volte appetitoso, che chiunque abbia mangiato un kebab conosce, non è nient’altro il risultato della lavorazione della carne con quantità spropositate di grasso animale e spezie: questo è quello che inganna il palato.

Chi è abituato a mangiare hamburger da McDonald od altre schifezze del genere, sa bene che il panino sembra buono: questo è solo un sapore indotto dal grasso utilizzato nel processo di lavorazione della carne.

Una profonda ricerca condotta in Inghilterra ha fornito le seguenti conclusioni:
  •  più del 50% dei Doner Kebab contiene carne diversa da pollo o vitello, la maggioranza dei kebab sono un miscuglio di carni diverse, tra cui quella di pecora e di maiale;
  • in circa il 9% dei casi non si è potuta individuare con chiarezza la natura della carne utilizzata nel processo di triturazione;
  • un kebab contiene tra il 98% (nel migliore dei casi analizzati) ed il 277% della quantità giornaliera di sale accettabile, oltre la quale la salute di un essere umano è a rischio;
  • un altro dato scandaloso è che ogni kebab contiene tra il 148% ed il 346% della quantità di grassi saturi assimilabili giornalmente da un essere umano ;

La totalità dei kebab diffusi dalla Germania in tutta Europa, contengono una quantità elevatissima di conservanti e additivi chimici necessari per poter assicurare la conservazione del prodotto per mesi. 

Inoltre, durante il loro trasporto ed all’interno degli stessi stabilimenti dove sono venduti al pubblico, questi rotoloni di “carne” sono soggetti a gravi interruzioni della catena del freddo, in seguito a continui e ripetuti congelamenti e descongelamenti.

L'interruzione ripetuta della catena del freddo implica due conseguenze:
  1. aumento della carica microbiologica dell'alimento: la maggior parte dei microrganismi non muoiono ma rimangono silenti ed inoffensivi fino a che non si rialzano le temperature al di sopra di 2-3°; superate queste temperature iniziano anche a proliferare
  2. quando si congela riscongela, congela riscongela si vengo a creare dei grossi grumi di ghiaccio all'interno delle proteine che logorano il loro valore nutrizionale fino ad annularlo
Altri rischi legati alla consumazione di kebab possono essere quelli di contaminazione batterica in caso la carne sia conservata male. 

La ricerca che lancia l’allarme arriva sempre dall’Inghilterra. 

L’Agenzia per la protezione dell Salute (Health Protection Agency’s Food ) ha effettuato ricerche su 1.213 insalate e 1.208 campioni di salsa destinati ai panini kebab.

Gli acquisti sono stati fatti a caso in 1.277 negozi sparsi fra Inghilterra, Galles e Irlanda del Nord. Le autorità hanno osservato come il 5% dei campione fosse infestato da batteri anche aggressivi come quello della Salmonella o dello Staphylococcus aureus. 

Cosa c’è dentro al kebab allora?

La leghista Mara Bizzotto ha presentanto un’interrogazione alla Commissione Europea allarmata (i tanti criticati leghisti ancora una volta sono praticamente gli unici a difendere, direttamente o indirettamente, il Made in Italy).
La Commissione ha risposto più o meno cosi: a vigilare sull’igiene dei chioschi di kebab devono essere gli stati nazionali. Traduzione: “E che ne sappiamo noi se i kebab sono sicuri per la salute? Ogni Stato membro faccia i suoi controlli!”

Io girerei al largo dai kebab, d’altronde siamo italiani, il buon cibo non ci manca !

mercoledì 4 aprile 2012

COME I GRASSI SI RAPPORTANO ALLA NOSTRA SALUTE: IL SISTEMA IMMUNITARIO


Il ruolo principale del sistema immunitario è quello di difenderci da agenti dannosi che entrano nell’organismo eludendo la funzione di barriera delle mucose come quella respiratoria o quella gastrointestinale.

Le reazioni immunitarie sono specifiche: quando il sistema di difesa reagisce ad una sostanza riconosciuta come nociva, sono prodotti dei difensori ad hoc chiamati anticorpi e il corpo avrà da quel momento una memoria immunologica contro quella specifica sostanza esterna.

Se la risposta immunitaria in genere diminuisce aumentano le infiammazioni, le infezioni virali e batteriche la febbre e forse anche i tumori.
Gli ultimi studi hanno posto particolare attenzione al ruolo della dieta nel rafforzamento o nell’indebolimento del sistema immunitario in stati di vita diversi.

Quando ci sono carenze o deficit nutrizionali, come nei paesi sottosviluppati, porta l’organismo a non poter difendersi da infezioni virali e batteriche.

Al contrario, in regioni ricche come nei paesi occidentali, un’alimentazione “generalmente abbondante” porta allo sviluppo di malattie autoimmuni.

Esistono oggettive evidenze per cui un introito calorico eccessivo dovuto in particolare ai lipidi, porta alla diminuzione della risposta immunitaria.
Questo meccanismo sembra essere legato ad una modificazione delle membrane di alcune cellule del sistema immunitario.

La stessa natura degli acidi grassi manifesta un atteggiamento diverso nei confronti del sistema immunitario.

L’acido linoleico, è implicato nella sintesi degli eicosanoidi, cellule coinvolte nella regolazione del segnale del sistema immunitario e quindi ne deriverebbe una risposta non corretta.

Altri studi indicano che l’acido gamma-linoleico riduca le infiammazioni attraverso la produzione di PGE-1.
L’assunzione dei grassi influenza la produzione di citochine, proteine che mediano risposte fisiologiche legate ad infiammazione ed infezione e febbre.
Alcuni acidi grassi della serie n-3 (si trovano negli oli di pesce) sono in grado di diminuire la produzione di citochine e quindi hanno effetto antiinfiammatorio.

Altra considerazione, derivata da diversi studi fatta con oli vegetali ricchi di acido linoleico, è la diminuzione della proteina C-reattiva con abbassamento del rischio cardiovascolare.

Ragazzi non tutti i grassi fanno così male, nei prossimi articoli li descriverò meglio!

lunedì 26 marzo 2012

A VOLTE UN PANINO E' SOLO LA PUNTA DI UN ICEBERG

Soggetto:       Panino McItaly 
Protagonisti:   Luca Zaia, all’epoca ministro per l’agricoltura-governo Berlusconi
                     Roberto Masi, amministratore delegato McDonald’s Italia
                     Carlin Petrini, inventore Slow Food

Nel decennio scorso McDonald (quand’è che la smettiamo di andare al McDonald’s? ci ricordiamo che siamo italiani? UN PO’ D’ORGOGLIO) ha attraversato un periodo di forti cambiamenti e questo credo sia dovuto, tra le altre cose, alla consapevolezza crescente per la quale l’alimentazione va rispettata in modo più serio, molto più serio di quanto faccia ora il consumatore medio.

Nel 2004 il film-documentario “Super size me” lascia di stucco diversi dirigenti McDonald’s: il regista Morgan Spurlock( tutto il mio rispetto per un’opera di questo calibro educativo) si nutre per un periodo lungo un mese esclusivamente McDonald’s.

Cosa vi aspettate sia successo? Ci ha guadagnato in salute?
Guardate il film se non riuscite a rispondere.

McDonald’s ricorre ai ripari e il suo super capoccia ordina: ripulire l’immagine del marchio, farlo diventare il fast food al mondo con la migliore considerazione da parte del pubblico (CHE RIDERE, COS’E’ UNA BARZELLETTA? UNA REPUTAZIONE LIMPIDA PER UNA CATENA CHE VENDE CIBO SPAZZATURA, CABARET!)

L’amministratore di McDonald Italia intuisce di dover puntare sul “Made in Italy” per garantirsi una sorta di slancio nel mercato del Belpaese.
Ora entra in scena il caro ministro Zaia il quale propone di creare un panino tutto italiano al McDonald: MAH! DOPPIO MAH!
Il 24 gennaio 2010, presso il McDonald di Piazza di Spagna a Roma, Zaia e Masi presentato “McItaly”: salsa di carciofi, Asiago, hamburger,olio extravergine e naturalmente pane.

La durata sul mercato del prodotto non è stata lunga, si parla di due mesi e di un fatturato di circa 15 milioni di euro.
Masi commenta così:” McItaly sarebbe dovuto essere un esperimento seguito dalla produzione di altri prodotti”; ci dobbiamo credere? A me paiono tanto parole che nascondono un bluff.
La risposta di Petrini non tarda ad arrivare:”Se una multinazionale realizza un nuovo prodotto, lo produce ed ha buone vendite continua a farlo, se interrompe il processo allora il prodotto non ha dato le risposte in termini di fatturato che i dirigenti si aspettavano”; come dargli torto? Ha enunciato un chiaro principio di economia e, personalmente, gli do pienamente ragione.

La battaglia mediatica continua.

Sia il centrosinistra, attraverso diversi suoi esponenti, sia lo stesso Petrini attaccano il ministro Zaia e McDonald in generale di sporcare l’immagine della nostra favolosa gastronomia.

Leggete cosa scrive il “The Guardian” attraverso il suo critico gastronomico Matthew Fort:”Se c’è mai stato un segno del fallimento morale del governo Berlusconi è la vista del grembiule di McDonald’s avvolto intorno al corpo snello del Ministro dell’Agricoltura Luca Zaia. Il presidente del consiglio, sorpreso a far capriole  con le donne giovani, le dubbie appartenenze politiche e tutti i rapporti discutibili non sono nulla in confronto a questo mostruoso atto di tradimento nazionale”.

Lo chiama tradimento nazionale? Troppa enfasi? Forse no, a me pare un’analisi lucida.

Sono diversi gli autori che commentano in maniera negativa questa operazione di marketing McDonald-Governo Italiano e sono tanti a chiedersi quanto ci guadagni personalmente Zaia da questa operazione.

Lo scontro è duro: da un lato Petrini accusa Masi di sottopagare merce e contadini, dall’altro Masi replica, in maniera ufficiale acquistando una pagina della Repubblica, indicando che la merce è tutta italiana ma alla domanda sui contadini tutto e tutti sono in silenzio.

La seguente dichiarazione di Masi e Zaia sono da mani nei capelli, da mal di testa, da “ma ci fate o ci siete”: “Slow Food è un’ottima iniziativa elitaria, mentre McDonald’s non ha mai smesso di servire studenti, extracomunitari e padri divorziati che non saprebbero dove altrimenti portare i figli durante le lunghe e fredde giornate invernali”.
Ma cos’è una barzelletta?

Io interpreto così le loro parole: l’amministratore delegato di McDonald Italia e il Ministro dell’Agricoltura stanno elogiando un sistema che vende a prezzi contenuti cibo di basso profilo nutrizionale. E VOGLIO ESSERE BUONO!

Intervistato sull’argomento Zaia risponde dicendo che l’iniziativa ha lo scopo di incrementare le vendite dei prodotti italiani e di aver ottenuto l’impegno di McDonald di pubblicizzare il prodotto nel mondo.

RIFLESSIONI

1)      Zaia non ha davvero nessun altro interesse? Credo di no perché ha sempre mostrato interesse nel combattere per il Made in Italy
2)      Era necessario mettere “le cose buona italiane” nei panini McDonald? NI !
3)      Se un’azienda produce un prodotto e vende lo ripropone altrimenti lo toglie dal mercato; McDonald dice di aver tolto dal mercato il panino McItaly non per questo ma per altri scopi aziendali: NON CI CREDO NON CI CREDO, AMICI MIEI, IO NON CI CREDO

E’ una storia strana per alcuni versi perché gli intrecci tra politica, nutrizione, interessi personali e aziendali sono molteplici e farsi un’idea.

La mia idea è che, anche se le azioni McDonald posso pubblicizzare i prodotti italiani, il fast food non va bene.

Associare i fantastici, divini e succulenti prodotti italiani ad un marchio che per quasi tutti è sinonimo di cibo spazzatura è un bene? So già cosa state pensando, bravi!

giovedì 22 marzo 2012

ALCOOL E GESTAZIONE


Recenti rilevazioni statistiche indicano che il consumo di alcolici è in continuo aumento e questo dato è confermato per ogni fascia di età.

Gli effetti tossici dell’alcool interessano diversi distretti corporei e sono strettamente dosi dipendenti.

Alcuni studi hanno evidenziato che le donne che consumano piccole quantità di alcool hanno un tasso di degenerazione minore rispetto alle altre donne.
Questo dato non deve sorprendere in quanto piccole quantità d’alcool aumentando la concentrazione del colesterolo “buono”, l’HDL.

I risultati di sudetti studi sono confermati da altri di neurologia dove è stato evidenziato che donne anziane consumatrici di basse quantità di alcool hanno una quantità di microinfarti celebrali minore rispetto alle donne che non ne assumono.

Nelle gestazione l’indicazione in generale è l’astensione in toto, soprattutto nelle donne che ne assumevano prima della gravidanza.

Nel 1973 è stata descritta la FAS “Fetal Alcool Syndrome”, una sindrome fetale causata dal consumo regolare e quotidiano di alcool.

Questa sindrome comprende numerose anomalie a carico del feto: molte di queste sono diagnosticabili con un’ecografia nel corso della gravidanza come malformazione del cranio e dello scheletro, malformazioni cardiache….
Altre anomali fetali sono diagnosticabili nel periodo post-natale come deficit motori o celebrali, difetti di mal occlusione o dentizione, difetti di crescita post-natale…

Numerosi studi sugli effetti dell’assunzione cronica di alcool evidenziano incidenza sull’aborto spontaneo e sulla morte endouterina del feto.

Atro fattore da considerare è che le donne consumatrici croniche di alcool sono hanno spesso comportamenti non salutari e, quindi, con un insieme di fattori di rischio più elevato rispetto alla popolazione in generale.

Le conclusioni di diversi studi convergono su punti simili:
  1. Non si conoscono le relazioni precise tra frequenza, quantità di alcool e danni al feto 
  2. Tre o più episodi di ubriacatura sono associati ad un maggior rischio di morte endouterina del feto 
  3. Il rischio di parto pretermine aumenta sono nelle gestanti che assumono o alcool tre o più volte al giorni


Alle gestanti col “vizietto” bisogna esporre le motivazioni per la quali dovrebbero annullare il consumo di alcool in gravidanza e, nel caso, offrire un valido sostegno psicologico o consigliare un buon specialista.